Ortopedici, Fisiatri e Fisioterapisti a confronto
del Dott. Giuseppe Porcellini, Dott. Paolo Paladini e del Dott. Carlo Alberto Augusti
Buongiorno Professor Giuseppe Porcellini, quale è stato il principale argomento di discussione della quinta edizione del congresso internazionale The Battle?
Quest’anno abbiamo deciso di puntare l’attenzione sulla compatibilità tra interventi di impianto di protesi articolari e l’attività sportiva, problematica tutt’altro che semplice e scontata. Se dopo protesi di ginocchio e anca, seppur con alcune restrizioni, l’attività sportiva è generalmente concessa, in seguito a protesi di spalla sono maggiori le limitazioni e i divieti da parte dei chirurghi ortopedici. Le risposte del medico alle richieste poste dai pazienti sono basate perlopiù sulla pratica comune e sul buon senso. Ci sembrava quindi opportuno approfondire l’argomento.
Come mai avete deciso di trattare e discutere della compatibilità tra protesi e sport?
Gli obiettivi cui mirare con un intervento di protesi sono cambiati nel tempo. Il progresso verificatosi nei materiali e nei disegni protesici, insieme al perfezionamento della tecnica chirurgica, ha permesso di raggiungere risultati eccellenti in termini di funzionalità. Le indicazioni all’impianto di una protesi articolare sono state estese a età inferiori rispetto al passato, in pazienti spesso in età lavorativa e che frequentemente svolgono attività ricreative a medio e alto impatto.
Questo comporta alte richieste funzionali manifestate dal paziente che si sottopone a intervento. Inoltre, anche nella popolazione di età avanzata sussiste ormai una grande partecipazione a sport come ciclismo, golf e tennis. La volontà di partecipare a sport non è quindi infrequente e rappresenta un tema di grande interesse.
Quale pensa sia l’impatto di un impianto protesico di spalla sullo stile di vita di un paziente sportivo?
È possibile riscontrare una tendenza a concedere di più in termini di attività sportiva, rispetto al passato, tra gli ortopedici che si occupano di chirurgia protesica di spalla. Un ampio numero di chirurghi è concorde nell’affermare che la partecipazione a sport a basso impatto è sicura.
Tali scelte non sembrano essere effettivamente basate su evidenze scientifiche, ma su esperienza. La letteratura fornisce pochi studi, retrospettivi, di basso potere e con follow-up brevi. Non esistono a nostra conoscenza studi di I o II livello, né studi con valutazione sistematica dal punto di vista radiologico di usura o mobilizzazione delle componenti in pazienti sportivi.
I dati disponibili consentono di osservare tassi di ritorno allo sport maggiori rispetto a quanto ci si possa aspettare, in particolare per la protesi totale anatomica e inversa. Fattori specifici del paziente, come il grado di attività precedente ed età, appaiono influenzare maggiormente il ritorno ad attività, rispetto al tipo d’impianto protesico. L’indicazione a evitare sport ad alto impatto sembra inoltre derivare da un atteggiamento precauzionale dei chirurghi, più che da evidenze scientifiche, nel fondato timore delle complicanze spesso difficili da affrontare.
Quali sono i rischi legati alla pratica sportiva in un paziente sottoposto ad artroprotesi?
È indubbio che nel corso dell’attività di tipo sportivo si possa assistere all’insorgenza di carichi più elevati di quelli tipici delle attività della vita diaria. Inoltre, data la natura dinamica del gesto sportivo, questi carichi possono essere anche di tipo impulsivo, che risultano essere molto più dannosi di quelli statici. Il carico impulsivo si può verificare soprattutto negli sport da contatto e può generare delle condizioni di sovratensione sulla componente protesica che possono portare da un lato al fallimento meccanico della stessa, dall’altro a fallimenti locali o globali della matrice ossea che la circonda, con conseguente mobilizzazione dell’impianto. L’utilizzo di una protesi di spalla nell’attività sportiva va pertanto valutato attentamente, tenendo conto non solo delle caratteristiche dell’impianto, ma anche del paziente e del tipo di sport.
Nella progettazione di un impianto protesico viene considerata la possibilità che il paziente torni a praticare attività sportiva dopo l’intervento?
Allo stato attuale le prove standard di validazione meccanica delle protesi di spalla non tengono direttamente conto di urti e impatti che possano verificarsi nel corso dell’attività sportiva. Si tiene conto però delle possibili amplificazioni dei carichi attraverso test high-demand, nei quali le componenti protesiche di spalla vengono sottoposte a condizioni gravose difficilmente realizzabili in vivo in condizione statica.
A titolo di esempio, molte componenti glenoidee vengono testate non solo in setup con condizioni di totale sbalzo (simulando un appoggio imperfetto sulla glena) ma anche con carichi magnificati rispetto a quelli attesi in vivo in attività pesanti (come ad esempio il sollevamento di 10Kg), cosa che le normative attuali non prevedono. Lo scopo di questi test è spingere al massimo le tensioni nei punti critici dell’impianto al fine di verificarne la tenuta in condizioni worst case.
Ad oggi, dunque, non esistono ancora protocolli o normative che simulino forze impulsive come quelle attese nell’attività sportiva, pertanto l’utilizzo in queste condizioni non può essere approvato dal produttore di impianti protesici. Ulteriori sforzi devono invece essere dedicati al fine di definire test standardizzati per valutare la resistenza o meno dell’impianto ai carichi cui viene sottoposta l’articolazione gleno-omerale nel corso di certe tipologie di attività sportiva.
Cosa differenzia la riabilitazione post-intervento di protesi di spalla nello sportivo e quali sono le attenzioni che i riabilitatori devono ricordare durante il trattamento?
Innanzitutto, il fisioterapista deve conoscere sia la patologia che il tipo di protesi impiantata, poiché questo cambierà il percorso riabilitativo e il risultato finale. Per quel che riguarda il ritorno all’attività sportiva, nel caso in cui ci trovassimo di fronte ad una protesi mono-compartimentale (emiartroprotesi, resurfacing), sarà necessario essere più cauti nel consigliare sport caratterizzati da gesti ripetitivi con forze di taglio quali tennis o sollevamento pesi, al fine di preservare dall’usura l’interfaccia osso-protesi nel medio lungo periodo.
In caso di artroprotesi anatomica sarà necessario essere più cauti negli sport da contatto, per proteggere la componente glenoidea da possibili mobilizzazioni traumatiche. Un capitolo a parte è rappresentato invece dalla riabilitazione e dunque dal rientro allo sport a seguito di artroprotesi inversa. Se di fronte a una sostituzione protesica anatomica ricercheremo un recupero di cinematica e di equilibri muscolari il più simile possibile alla normale anatomia, con una protesi inversa dovremo attuare strategie muscolari dedicate per poter garantire una buona forza, minor affaticamento e prevenire problemi da sovraccarico, in particolar modo sulla muscolatura posizionatrice della scapola.
La mancanza di movimento attivo in extrarotazione comporterà un maggior utilizzo del deltoide, del sottoscapolare, dei trapezi e dei romboidi, con spesso associata una aumentata inclinazione del tronco. Proprio per questo aspetto sarà fondamentale su questo tipo di pazienti valutare con follow-up costanti l’adattamento di tutte queste componenti muscolari al gesto sportivo desiderato. Anche in questo caso saremo comunque più cauti nel consigliare sport da contatto o alto impatto.
Quali sono quindi i consigli per ottenere una buona e durevole funzionalità articolare in un paziente con protesi di spalla che vuole praticare sport?
Bisogna sempre ricordare al paziente che la protesi è una struttura inerte, non in grado di rigenerarsi come il tessuto biologico; pertanto, è fondamentale mantenere una certa attenzione nel non sovraccaricare l’articolazione con allenamenti al di sopra delle proprie potenzialità muscolari e rispettare inoltre le giuste pause fra una sessione e l’altra, al fine di praticare lo sport nella condizione muscolare ottimale.