DOTT. MAURILIO BRUNO-SPECIALISTA IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA VILLA STUART, CENTRO MEDICO
D’ECCELLENZA FIFA&FIMS
Lesione del nervo SPE: quando il piede cade
Molte patologie neurologiche centrali e periferiche possono esitare nella deambulazione “steppante”, ovvero nella zoppia determinata dal piede cadente. Il panorama delle patologie che possono determinare il quadro clinico del piede paralitico o cadente è molteplice. Si definisce cadente il piede e la caviglia incapaci di estendersi e sollevarsi nel camminare. Questa situazione si verifica per paralisi dei principali muscoli che sollevano il piede nel fare un passo: il tibiale anteriore, l’estensore comune delle dita, l’estensore proprio dell’alluce, i peronei. Queste paralisi possono essere causate da patologie mediche che interessano il midollo spinale e le radici, come le mieliti da malattie specifiche (virali, lebbra, neuropatia di Charcot) o traumatiche del midollo spinale, delle radici spinali e del nervo periferico.
In particolare, la caviglia ed il piede sono innervati dai rami del nervo sciatico: lo sciatico popliteo esterno (SPE) e lo sciatico popliteo interno (SPI). Il primo innerva i muscoli che estendono ed evertono il piede, il secondo innerva i muscoli che flettono ed invertono il piede. Nel caso di lesione traumatica del nervo SPE (lesione reversibile, ovvero la assonotmesi, o irreversibile, ovvero la neurotmesi) si deve immediatamente porre diagnosi attraverso l’esame clinico e, soprattutto, l’esame elettrofisiologico elettromiografico o EMG. Le cause più frequenti di lesione traumatica del nervo SPE sono rappresentate da
- traumi contusivi violenti
- lesioni da taglio e da arma da fuoco
- da fratture del perone
- compressioni da forme tumorali (swannomi, formazioni cistiche),
- lussazione del ginocchio.
Molte forme sono di origine iatrogena, come quelle che avvengono in corso di impianto di protesi di anca o di ginocchio, lesioni radicolari da sciatica (paralizzante), asportazione di ernie del disco, etc. Dopo una prima fase diagnostica, le possibilità terapeutiche sono rappresentate da tecniche fisiatriche. Sia in caso di neuroaprassia o assonotmesi (senza interruzione del tronco nervoso) che cercano di “risvegliare” il nervo leso e, di contro, in caso di neurotmesi (interruzione del tronco nervoso) da tecniche di riparazione del nervo.
Il ruolo della microchirurgia ricostruttiva
Sin dagli anni Sessanta, lo sviluppo della microchirurgia ha consentito l’approccio “riparativo” alle lesioni nervose attraverso la tecnica della neurolisi. Questa tecnica è la liberazione di un tronco nervoso compresso ed ischemico ma integro da tessuti fibrosi cicatriziali ed aderenziali, e della neuroplastica, attraverso innesti nervosi autologhi prelevati dallo stesso paziente per riparare tronchi nervosi interrotti, con ausilio del microscopio operatore. I risultati sono spesso ampiamente positivi, consentendo nella maggior arte dei casi una buona restituzione funzionale. Nel caso di fallimento di questo arsenale terapeutico e nei casi di lesione centrale non riparabile, bisogna ricorrere a tecniche di “palliazione”. Si tratta di sostituzione della funzione perduta attraverso la trasposizione di tendini e muscoli sani che, opportunamente “spostati”, possono funzionare al posto dei muscoli paralitici.

L’intervento di riparazione del nervo SPE
Per recuperare un piede cadente per perdita degli estensori della caviglia e del piede possiamo utilizzare un potente “donatore” funzionale: il muscolo tibiale posteriore. Si tratta di un muscolo della gamba dotato di un lungo tendine (teso fra tibia ed osso scafoide al piede) che è capace di invertire ed addurre il piede. Sin dagli anni Cinquanta, si è diffusa questa tecnica chirurgica. Si tratta di trasposizione del tendine TP al davanti ed all’esterno del piede per far sì che da inversore potesse diventare un eversore del piede al posto del muscolo tibiale anteriore paralizzato.
Questo intervento chirurgico si è molto raffinato negli anni. Rappresenta una brillante soluzione per il recupero del piede cadente per paralisi dei muscoli estensori della caviglia e del piede. Tecnicamente, si esegue prelevando il tendine insieme ad una bratta ossea dallo scafoide. Lo si fa passare attraverso la membrana interossea bioperoneale e sotto un tunnel sottocutaneo fino al II o III osso cuneiforme al lato esterno del piede. Quindi viene fissato con viti o cambrette all’osso cruentato. A volte bisogna allungare il tendine di Achille per favorire il recupero della dorsiflessione della caviglia. Dopo una iniziale funzione di“tenodesi”, ovvero di capacità passiva di tenere esteso meccanicamente il piede, si passa rapidamente ad una funzione attiva del muscolo tibiale posteriore, il quale acquisisce rapidamente la funzione contrattile e la capacità attiva di estendere la caviglia ed il piede.
E’ frequente oggi la scelta del chirurgo di eseguire il trapianto tendineo contemporaneamente alla procedura microchirurgica riparativa sul nervo, per rendere più rapido il recupero funzionale. Utilizzare il tendine tibiale posteriore può portare ad una discreta pronazione del piede. Potrebbe derivare quindi un lieve atteggiamento di “caduta interna” della volta plantare, problematica tuttavia poco significativa rispetto al recupero della estensione attiva della caviglia e del piede paralitico. In conclusione, la sintesi fra tecniche moderne, come la Microchirurgia Ricostruttiva e tecniche chirurgiche storiche, come i trapianti palliativi, possono brillantemente risolvere quadri clinici disfunzionali di grado spesso se vero.