Lombalgia e lombosciatalgia

Ultimo aggiornamento il 4 Ottobre 2023
lombalgia e lombosciatalgia

L’importanza di un inquadramento clinico

La lombalgia e la lombosciatalgia (Low Back Pain) sono condizioni dolorose caratterizzate da dolore lombare associate a dolore lungo uno o entrambi gli arti inferiori. Sono condizioni frequenti: si stima che tra il 70% e l’80% delle persone abbia avuto almeno un episodio nel corso della vita, con una lieve prevalenza nelle donne. Ogni anno circa il 10-15% della popolazione riferisce un nuovo episodio, con durata variabile da pochi giorni a diverse settimane e 2/3 dei pazienti riferiscono cronicità oltre le 12 settimane di sintomatologia. Tra il 5% e l’8% presentano una forma acuta con sciatalgia.
Sono molte le cause che possono determinare una lombalgia: traumi, processi osteoartrosici, degenerazione discale, ernia del disco, spondilolisi e listesi, traumi, tumori, processi infiammatori, stenosi. Un buon inquadramento clinico è necessario, prima di procedere all’iter diagnostico, orientando le indagini sul livello e intensità dei sintomi.

Contributo della diagnostica per immagini: TAC, RM, RX, Mielografia

Nel sospetto di ernia discale, la diagnostica per immagini è quasi integralmente occupata dalla risonanza magnetica. Esistono, tuttavia, condizioni che suggeriscono di eseguire uno studio radiografico e una TAC come ad esempio un paziente non candidabile allo studio RM perché portatore di pacemaker o altri dispositivi metallici. Le apparecchiature TAC di recente generazione consentono di condurre l’esame in pochi minuti e con una dose di esposizione limitata rispetto alle generazioni precedenti e possibilità di ricostruire su tutti i piani ed in 3D.

Contributo diagnostico dell’elettromiografia/elettroneurografia

Il dolore lombosacrale può originare da radicolopatie compressive da ernia del disco lombare, nei casi più frequenti, da ipertrofia dei legamenti gialli, patologie osteofitarie di natura artrosica, plessopatie e neuropatie focali, contratture muscolari, distonie e altre patologie neuromuscolari. Le radicolopatie lombosacrali sono caratterizzate dal punto di vista clinico da dolore lombare che si irradia all’arto inferiore con una distribuzione dermatomerica che dipende dalla radice interessata. Il dolore spesso si accompagna a:
⁜ sintomi positivi come le parestesie sotto forma di formicolii, fascicolazioni, bruciori urenti e talora senso di elettricità allo sfioramento;
⁜ sintomi negativi caratterizzati da senso di addormentamento, riduzione/scomparsa della sensibilità, riduzione del senso di posizione nello spazio.

In questo processo di localizzazione della sede di lesione, l’Elettromiografia rappresenta l’esame cardine, che integra la RM lombare con un criterio di sede, qualitativo e quantitativo, espresso della gravità del danno. L’esame Elettromiografico è uno strumento diagnostico per la valutazione delle malattie del sistema nervoso periferico e rappresenta un’estensione dell’esame neurologico clinico. Permette di formulare un’ipotesi diagnostica, seguire il decorso e fornire una prognosi per le principali malattie neuromuscolari. Nelle condizioni di lombalgia e lombosciatalgia si valutano:
⁜ distribuzione dei sintomi positivi e negativi, dolore e parestesie;
⁜ deficit di sensibilità o di forza, valutando la/le radici nervose più coinvolte, il grado e il livello di compromissione.
Con l’ausilio delle tecniche neuroradiologiche quali RMN, TC, RX della colonna lombosacrale possiamo inquadrare la sede della possibile patologia sciatalgica e spesso la patologia sottostante (ernia, artrosi, stenosi, traumi, fratture, lisi e listesi, infezioni ossee o discali, tumori etc.). Lo studio con l’Elettromiografia degli arti inferiori quantifica il danno della radice e lo definisce meglio dal punto di vista eziopatogenetico, differenziandolo da quello del plesso nervoso, dei nervi e dei muscoli. Sulla base del quadro clinico, il neurologo valuta quali nervi e muscoli esaminare e quali prove neurofisiologiche eseguire. Nell’Elettromiografia distinguiamo due fasi:
⁜ l’ Elettroneurografia (ENG), ovvero lo studio della Conduzione Nervosa, mediante elettrodi adesivi e l’uso di correnti elettriche, che misura la capacità di trasmettere comandi motori ai vari muscoli, oppure informazioni sensitive dalla periferia ai centri superiori;
⁜ l’Elettromiografia (EMG) che si effettua con elettrodi ad ago e che rappresenta la registrazione dell’attività elettrica muscolare.

Obiettivi dell’elettromiografia

Le due metodiche ENG ed EMG permettono di:
⁜ localizzare il disturbo;
⁜ identificare il processo patologico sottostante;
⁜ caratterizzare il deficit;
⁜ valutare la gravità;
⁜ monitorizzare il decorso della malattia;
⁜ fornire una prognosi;
⁜ valutare l’efficacia delle terapie adottate.

Tra le indicazioni più frequenti:

  1. Deficit di forza di singoli muscoli o gruppi muscolari.
  2. Alterazioni della sensibilità come:
    ⁜ variazioni quantitative della sensibilità: ipoestesia/anestesia;
    ⁜ variazioni qualitative: parestesie, disestesie (sensazioni di formicolio, addormentamento, elettricità, etc.).
  3. Sindromi dolorose legate a sofferenza della radice nervosa:
    ⁜ ernia del disco;
    ⁜ artrosi con osteofitosi, stenosi del canale;
    ⁜ impegno nei forami di coniugazione;
    ⁜ S. della Cauda Equina, etc.
    Del tronco nervoso:
    ⁜ neuropatie compressive dello SPE al Caput Fibulae o di altra natura.
    Del plesso nervoso:
    ⁜ da lussazione o traumi distorsivi degli arti inferiori, (traumi da strada, traumi da sport, interventi chirurgici, parto, etc.);
    ⁜ plessopatia lombosacrale da parto, etc.
  4. Polineuropatie in corso di:
    ⁜ diabete mellito;
    ⁜ etilismo;
    ⁜ deficit nutritivo o carenziali in corso di dimagramenti o malassorbimento;
    ⁜ insufficienza renale;
    ⁜ malattie autoimmuni;
    ⁜ malattie della tiroide;
    ⁜ intossicazioni farmacologiche o ambientali;
    ⁜ tumori o trattamenti antitumorali.

L’integrazione della EMG nei confronti delle tecniche radiologiche si esprime quando:
⁜ è presente una discrepanza tra la sofferenza clinica dermatomerica riconducibile a patologia radicolare in presenza di una RM lombosacrale negativa per ernie o possibili compressioni radicolari (ad es. le radicolopatie diabetiche e da herpes zoster);
⁜ se, a fronte di una voluminosa ernia, sussiste una discrepanza clinica con radicolopatie lievi e paucisintomatiche;
⁜ se la patologia ha un’origine multifattoriale (alterazioni radicolare da ernia del disco e concomitanti alterazioni a periferiche, come neuropatie diabetica associata, sindromi canalicolari compressive, neuropatia dello SPE al Caput Fibulae o compressione del nervo ischiatico al foro omonimo o da conflitto con il muscolo piriforme).
L’Elettromiografia evidenzia anomalie di natura funzionale, mentre la RM mette in mostra anomalie strutturali. I due test non si escludono a vicenda, ma al contrario risultano complementari.
Per questi motivi, nel caso di dolore lombosacrale, si consiglia sempre di integrare il processo diagnostico con ambedue gli studi: quello morfologico della RM lombosacrale e quello funzionale elettromiografico degli arti inferiori.

Paziente con lombalgia cronica. Comparsa di sciatalgia acuta durante manipolazioni. RM e TAC, massa ad origine posteriore, intracanalare, con densità elevata in TAC. Cisti artrogena emorragica (reperto istologico).

Il ruolo del Neuroradiologo diagnosta e interventista per la lombosciatalgia da patologie discali

La patologia spinale rappresenta una delle principali cause di disabilità e compromissione della qualità di vita in tutto il mondo. La Neuroradiologia Diagnostica e Interventistica svolge un ruolo cruciale nella gestione di questa patologia, fornendo informazioni dettagliate sulla struttura anatomica e funzionale della colonna vertebrale. Le competenze clinico/radiologiche proprie del Neuroradiologo consentono di verificare la corrispondenza tra imaging e clinica orientando verso il trattamento migliore. La corrispondenza clinico/radiologica è fondamentale poiché è frequente il riscontro di ernie discali asintomatiche. Uno studio pubblicato sulla rivista AJNR nel 2015 su 3110 individui asintomatici sottoposti ad RM ha documentato che la degenerazione discale aumentava dal 37% a 20 anni di età al 96% ad 80 anni di età e la presenza di ernia contenuta da 29% a 20 anni di età al 43% ad 80 anni di età. Altro studio su 18 calciatori professionisti asintomatici, con una età media di 18 anni, ha dimostrato che l’83% presentava degenerazione faccettale, cisti sinoviali, ernia discale o difetto della pars articularis. In particolare, ernia discale nel 18% dei casi.
La RM rappresenta la tecnica di imaging più accurata e deve essere eseguita con apparecchiature di alto campo. Fornisce indicazioni sullo stato dei dischi, la loro idratazione, la integrità o meno dell’anulus, la presenza di ernia discale. Anche le componenti articolari sono ben valutabili con RM e deve essere posta attenzione alle alterazioni degenerative dell’osso subcondrale dei piatti vertebrali contrapposti.
Il riscontro di iposegnale in T1 ed ipersegnale in T2 dell’osso subcondrale (Modic 1) è stato descritto da M.T. Modic, neuroradiologo di Cleveland negli anni 80’ ed è frequentemente associato a lombalgia. Le alterazioni Modic 2 (iper in T1 e T2) e 3 (ipo in T1 e T2), invece, sono tipicamente di tipo cronico. In caso di sospetta stenosi lombare la RM fornisce informazioni ottimali riguardo la compressione del sacco tecale ed in questi casi è importante distinguere tra un canale congenitamente stretto (ad esempio per brevità congenita dei peduncoli) ed una stenosi degenerativa. Peraltro, le dimensioni assolute del canale hanno una importante relativa mentre è determinante valutare le dimensioni in rapporto ai livelli sopra e sottostante che rappresentano il riferimento. Nei casi in cui la RM non può essere eseguita o per completamento diagnostico, è indicata la TC, soprattutto nella valutazione delle alterazioni ossee.
La TC con tecnica fluoro-TC permette l’esecuzione con controllo real-time di procedure interventistiche. La radiografia convenzionale mantiene il suo valore per le valutazioni dinamiche in flessione ed estensione non altrimenti ottenibili.

Interventi Terapeutici

La Neuroradiologia Interventistica è coinvolta nel trattamento di numerose affezioni spinali. In caso di radicolopatia può essere eseguita una TFESI (Transforminal epidural steroid injection) con anestetico e cortisone particolato con iniezione TC guidata pregangliare.

In caso di stenosi può essere eseguita ESI (Epidural steroid injection) con guida TC ed accesso posteriore interlaminare.
Possono essere eseguiti in alcuni casi trattamenti percutanei del disco, sempre dopo il primo step infiltrativo senza successo. È interessante il trattamento percutaneo delle cisti sinoviali che corrispondono a raccolte di fluido sinoviale conseguente a patologia degenerativa e accumulo di fluido che determina compressione radicolare. La sintomatologia si accentua con un ortostatismo e, se di piccole dimensioni, le cisti vengono spesso non diagnosticate.

Immagine assiale TC. Paziente in posizione prona. La freccia indica l’ago da 22g nel forame di coniugazione dx L4-5.
TFESI L4-5 dx. Immagine assiale TC. Paziente in posizione prona. La freccia indica l’ago da 22g nel forame sacrale post sn S1.
ESI L4-5. Immagine assiale TC con paziente in posizione prona. La freccia piccola indica il mezzo di contrasto nello spazio epidurale posteriore. La freccia lunga indica l’ago da 22g.

È possibile il trattamento TC guidato posizionando l’ago nello spazio interarticolare ed effettuando una iniezione di anestetico e cortisone con l’obiettivo di rompere la cisti con iniezione forzata e iniettando cortisone con finalità antinfiammatoria. La percentuale di successo del trattamento percutaneo è del 50% e questa tecnica semplice dovrebbe sempre precedere la chirurgia. Per il trattamento del dolore da ernia discale con radicolopatia secondo le linee guida della North American Spine Society (NASS), la TFESI è raccomandata per un beneficio a breve termine 2-4 settimane (Grado di raccomandazione: A -il maggiore-). La ESI ha un “grado di raccomandazione: C” che significa “può rappresentare una opzione terapeutica”. La discectomia percutanea ha ugualmente un “Grade of Raccomandation:C”. La NASS riporta che “Non ci sono prove sufficienti per raccomandare o controindicare l’uso dell’ozono intradiscale nel trattamento di pazienti con ernia del disco lombare con radicolopatia” (Grade of Raccomandation:I –“Insufficient Evidence”). Ugualmente “Grade of Raccomandation: I” per tutti gli altri trattamenti come termoablazione discale, nucleoplastica, iniezione di plasma nel disco. La “Insuffcient Evidence” non controindica comunque questi trattamenti e sarà l’esperienza dell’operatore ad indicarne la fattibilità.

Sacroileite, la responsabile del 30% delle lombalgie

La sacroileite è responsabile di circa il 30% dei casi di “mal di schiena”, nei soggetti di entrambi i sessi tra i 40 e 70 anni.
Si tratta di una condizione infiammatoria dell’articolazione tra l’osso sacro e le ossa iliache che genera un blocco funzionale con conseguente limitazione dei movimenti, sia della colonna che degli arti inferiori e si sviluppa nella zona lombare. Il sintomo principale è il dolore, che può essere monolaterale o bilaterale, e verificarsi in stazione eretta o durante la deambulazione, soprattutto nei movimenti di rotazione dell’articolazione. Può presentarsi durante il giorno, ma frequentemente si accentua durante la notte. Il dolore si localizza a livello della zona lombare (L4-L5, L5-S1) con possibile irradiazione verso i glutei, l’inguine e l’arto inferiore.

La principale funzione dell’articolazione sacro-iliaca è quella di supportare, distribuire e trasmettere il carico vettoriale dalla colonna verso la pelvi e gli arti inferiori, esercitando anche una funzione di ammortizzatore del carico quando un individuo si alza in piedi, cammina, corre.
Le cause della sacroileite possono essere riassunte in:
⁜ traumi;
⁜ patologie degenerative artro-muscolari (eccessive sollecitazioni meccaniche, infiammazioni muscolari, posture errate);
⁜ patologie reumatiche (come artrite reumatoide, spondilite anchilosante);
⁜ alterazioni delle articolazioni sacro iliache correlate alla gravidanza;
⁜ infezioni di una delle due articolazioni e/o tumori delle ossa o delle cartilagini.

articolazioni sacroiliache

Diagnosi

La diagnosi esatta si esegue per mezzo di una dettagliata anamnesi, l’esame obiettivo, una RX del bacino e RM della colonna lombosacrale. Lo studio RM deve comprendere necessariamente una sequenza coronale acquisita in T2 in saturazione del segnale del grasso, al fine di documentare le manifestazioni di edema dell’osso trabecolare limitrofo alle articolazioni sacro-iliache, che rappresenta un elemento di DPI fondamentale per la corretta diagnosi. Determinante nella diagnosi della sacroileite è l’accurato esame obiettivo che permette di definire i sintomi soggettivi del paziente, come il dolore, e la valutazione dei segni oggettivi, come la rigidità articolare in taluni movimenti e la limitazione funzionale della stessa articolazione. Durante questi accertamenti, è possibile condurre alcuni test specifici come quello di Laslett.

Terapia

Il primo approccio consiste nel trattamento conservativo mediante impostazione di una terapia medica a base di antinfiammatori (FANS) che permettono la riduzione del processo infiammatorio locale e del dolore associato. La somministrazione di farmaci inibitori del TNF alfa è particolarmente utile quando la sacroileite è determinata dalla spondilite anchilosante.
Questi farmaci possono essere assunti per via orale, intramuscolare o endovenosa, ma la maggiore efficacia si ottiene attraverso infiltrazioni intra-articolari, che consentono al principio attivo di agire in modo diretto sulla zona articolare coinvolta (infiltrazioni di anestetici e cortisone).
In caso di disfunzione meccanica dell’articolazione si programmano invece trattamenti fisioterapici, somministrati da fisioterapisti e medici fisiatri specializzati, che impostano un programma specifico ed individuale.

Terapia mini-invasiva

Viene eseguita sotto guida ecografica o TC a seconda della localizzazione del dolore. Con un piccolo ago si arriva a livello dell’articolazione dove si possono iniettare varie sostanze come il cortisone o gli antidolorifici per avere una terapia mirata e locale che permetta una rapida riduzione del dolore. Non ci sono controindicazioni tranne nei pazienti con patologia della coagulazione. Il trattamento, in mani esperte, ha ottimi risultati e di fatto nessun rischio. Ulteriore procedura risulta essere la denervazione tramite radiofrequenza.

Lombalgia e lombosciatalgia: quando è necessario il trattamento chirurgico

Ernia del disco

L’operazione chirurgica di asportazione dell’ernia discale lombare è indicata in presenza di Sindrome della Cauda Equina, ovvero la compressione di una o più radici (lombari e sacrococcigee). In questi casi, vi è indicazione assoluta di intervento di discectomia da effettuarsi entro 1-2 giorni dal manifestarsi dei sintomi. Si tratta di una malattia
rara e caratterizzata da:
⁜ dolori lombosacrali irradiati agli arti inferiori, vescica, perineo e retto;
⁜ deficit motorio;
⁜ impotenza;
⁜ disturbi sfinterici.
Quando i sintomi persistono da più di 6 settimane e il dolore non diminuisce nonostante i trattamenti conservativi, è importante valutare, prima di intervenire chirurgicamente, una possibile corrispondenza tra sintomi, segni clinici ed esami diagnostici.

CASO CLINICO Maschio di 29 anni, lombosciatalgia sinistra farmaco resistente deficitaria. Difficoltà alla deambulazione sulle punte.

Stenosi del canale lombare

Con il termine “stenosi lombare” si fa riferimento a un restringimento del diametro del canale vertebrale e/o dei forami intervertebrali a carico del rachide lombosacrale.
La conseguenza del restringimento, che può dipendere da diversi fattori, è la compressione del sacco durale e/o delle radici spinali. La fase di “decompressione” laminectomia e foraminotomia del canale vertebrale prevede l’asportazione di alcuni segmenti ossei prestabiliti per restituire al sacco durale e alle strutture in esso contenute lo spazio adeguato affinché cessi la compressione.

Instabilità vertebrale

Può essere micro o macro instabilità del rachide. Si manifesta con un dolore lombare cronico e invalidante, che può accompagnarsi a blocchi articolari sporadici o ricorrenti.
Questi sintomi, seppure non conducano a danno neurologico permanente, possono impattare profondamente sulla qualità della vita, inficiando le normali attività quotidiane. La diagnosi si esegue tramite:
⁜ RM colonna lombo-sacrale;
⁜ TC colonna lombo-sacrale;
⁜ radiografia in flesso-estensione.
Qualora il trattamento conservativo non sia sufficiente, si può valutare di sottoporre il paziente a intervento chirurgico.
Si tratta della stabilizzazione vertebrale mediante viti peduncolari, che vengono inserite nel corpo vertebrale e le cui teste sono connesse tra loro per mezzo di barre in titanio. Se necessario, si posiziona anche uno spaziatore (cage) nello spazio discale e, nel caso in cui il paziente avverta sintomi radicolari, si esegue anche una decompressione del canale vertebrale (laminectomia).
Gli interventi hanno un alto profilo di sicurezza e vengono condotti in anestesia generale con l’aiuto di controlli radioscopici e del monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio, grazie ai quali il neurochirurgo ha conferma del corretto posizionamento dei mezzi di sintesi e dunque della conservazione dell’integrità delle strutture nervose.

Fratture vertebrali

Si presentano come un dolore lombare acuto in seguito ad un trauma e/o movimento brusco (nel caso di cedimento da osteoporosi). In base alla frattura si identificano le tipologie di intervento. Le fratture da compressione si manifestano sulla base di
forze compressive che tendono a provocare piccole incrinature all’interno dei corpi vertebrali, con conseguente avvallamento e perdita di altezza degli stessi. Se la perdita di altezza provocata dalla deformazione supera il 50%, è meglio procedere al trattamento chirurgico tradizionale con artrodesi (open e/o percutanea). Se la perdita di altezza è al di sotto del 50% possono essere trattate conservativamente con busti ortopedici o con tecniche di consolidamento mediante vertebroplastica percutanea (resine acriliche). Le fratture a scoppio consistono nella frattura a più frammenti di tutto il corpo vertebrale accompagnato alla retropulsione di un frammento di osso nel canale spinale, creando la compressione delle strutture nervose. Sono fratture instabili e vanno trattate chirurgicamente. Se è necessaria una decompressione, si procede a una laminectomia per liberare le strutture nervose oppure, se necessario, all’intera sostituzione del corpo vertebrale con protesi metalliche inserite tramite approcci anteriori attraverso l’addome. Non si procede alla sostituzione del corpo vertebrale, generalmente quando il restringimento del canale dovuto alla retropulsione del frammento di corpo è al di sotto del 50% del diametro antero-posteriore normale. In tal caso si utilizzano gli approcci posteriori (artrodesi) con impiego delle viti peduncolari in tecnica tradizionale aperta, oppure con tecniche percutanee mini-invasive se la situazione non necessita di decompressione chirurgica delle strutture nervose.

Strategie mediche e fisioterapiche per gestire il dolore da lombosciatalgia

La lombosciatalgia, nota anche come radicolopatia lombare o sciatica, è una condizione medica dovuta alla compressione o irritazione del nervo sciatico (o ischiatico) che determina dolore nella parte bassa della schiena (zona lombare), in uno dei due glutei e lungo uno dei due arti inferiori, fino al piede. Solitamente è monolaterale, ma possono esserci casi in cui è bilaterale. È un sintomo frequente nei pazienti tra i 30 e i 40 anni anche se diventa più comune tra i 40 e gli 80 anni. Alcuni studi affermano che tra il 13% e il 40% della popolazione generale sperimenta almeno un episodio di sciatica durante la vita per conflitto disco-radicolare e che il numero totale delle persone colpite potrebbe aumentare con l’invecchiamento della popolazione. A causa della sua frequenza e dell’impatto socio-professionale, la lombosciatalgia è ormai un problema di salute pubblica. Rappresenta una delle cause più comuni di dolore negli adulti ed è responsabile di un gran numero di giornate lavorative perse. Il dolore in questo caso è di tipo neuropatico: di solito i pazienti lo descrivono come acuto e penetrante, altri come urente e altri ancora come se fosse una scossa elettrica. Oltre al sintomo dolore, il paziente può riferire formicolio (parestesie), intorpidimento (ipoestesia) e deficit di forza a carico di un arto inferiore (ipostenia).
Tra i fattori di rischio, troviamo:
⁜ l’età avanzata;
⁜ l’obesità;
⁜ la sedentarietà;
⁜ l’attività lavorativa (soprattutto quelle in cui si compiono movimenti torsionali di colonna e si sollevano pesi).
Tra le varie cause, invece, ricordiamo:
⁜ l’ernia discale (la causa più frequente);
⁜ la stenosi del canale;
⁜ la spondilolistesi;
⁜ la contrattura del piriforme;
⁜ la mega apofisi trasversa.
Altre eziologie sono più rare ma devono comunque essere sempre tenute a mente come i tumori spinali, aneurismi o pseudoaneurismi, idatidosi etc. Possono insorgere delle importanti complicazioni se alla base della sintomatologia abbiamo una grave alterazione del nervo. Infatti, possiamo ritrovarci di fronte a pazienti che presentano una grave debolezza degli arti, una perdita totale di sensibilità e difficoltà/incapacità deambulatoria.
Molte volte una buona anamnesi ed un esame obiettivo accurato possono essere sufficienti per fare una diagnosi.
Spesso, ci si avvale di indagini strumentali come l’RX, la RMN, la TC e l’Elettromiografia. Nella fase acuta, il trattamento è sicuramente farmacologico: possiamo avvalerci dell’utilizzo di paracetamolo, FANS, corticosteroidi, miorilassanti (sempre in
associazione), gabaergici, antidepressivi triciclici e oppioidi, senza dimenticare che ognuno di questi farmaci presenta degli effetti collaterali più o meno gravi. Nei casi in cui la terapia farmacologica non dovesse sortire gli effetti desiderati si può intervenire con infiltrazioni TC guidate intradiscali che danno luogo a nucleolisi, infiltrazioni epidurali fino ad arrivare all’intervento chirurgico, riservato quest’ultimo ai casi di lombosciatalgia più gravi che non migliorano con i sopraccitati trattamenti. La procedura chirurgica è assai delicata e consiste nel liberare il nervo da ciò che ne causa compressione o irritazione.

Trattamento fisioterapico nella lombosciatalgia

Parallelamente alla terapia farmacologica, la fisioterapia espleta un ruolo significativo nel trattamento conservativo della lombosciatalgia. Il suo scopo risiede nell’attenuare la sintomatologia dolorosa del paziente. L’iter fisioterapico prevede il trattamento in palestra, l’idrokinesiterapia e il trattamento posturale. Il percorso in palestra si compone di esercizi, stretching ed impiego di macchinari ad azione antalgica e antinfiammatoria, quali la magnetoterapia, gli ultrasuoni, la TENS, la TECAR. Sempre nell’ambito dei macchinari, sono degni di nota il laser alta potenza (HILT). I benefici sono riconducibili a un incremento del flusso sanguigno e del metabolismo cellulare.

Gli esercizi proposti durante la terapia consistono in approcci di forza/resistenza e di coordinazione/stabilizzazione, al fine di potenziare il sistema muscolare ed incrementare la flessibilità del tronco.
L’idrokinesiterapia è un ottimo complemento al programma di riabilitazione e rieducazione a secco: il trattamento prevede una serie di esercizi svolti in acqua ed è finalizzato ad ottimizzare la gestione del dolore, della mobilità e della forza. Una volta superata la fase acuta della malattia e su prescrizione medica, si può introdurre un percorso di posturale: parliamo del metodo Newton, largamente impiegato e conosciuto grazie agli ottimi risultati nei casi di lombalgie e lombosciatalgie croniche. Essa viene eseguita con cadenza settimanale con l’obiettivo in primis di prendere coscienza, da parte del paziente, degli atteggiamenti posturali antalgici strutturati nel tempo.

Trattamento fisioterapico nella lombosciatalgia

Tramite posture che si eseguono in posizione eretta, sfruttando la forza di gravità, insieme alla stimolazione della pianta del piede, si riesce ad ottenere un’immediata e duratura distensione della catena muscolare posteriore, ripristinando così una corretta postura.

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