L’imaging diagnostico nelle lesioni muscolari

Ultimo aggiornamento il 25 Maggio 2023

Il collante tra clinica e diagnosi è il radiologo muscoloscheletrico dedicato

PROF.SSA SILVANA GIANNINI – MEDICO CHIRURGO SPECIALISTA IN DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
RESP. SERVIZIO DI DIAGNOSTICA C.D.C. VILLA STUART SPORT CLINIC, CENTRO MEDICO D’ECCELLENZA FIFA – TOP PHYSIO BALDUINA

DOTT. EMANUELE R. FALONI – MEDICO CHIRURGO SPECIALISTA IN DIAGNOSTICA PER IMMAGINI C.D.C. VILLA STUART SPORT CLINIC, CENTRO MEDICO D’ECCELLENZA FIFA – TOP PHYSIO BALDUINA CONSULENTE RADIOLOGO A.S. ROMA FIRST TEAM

Nel momento in cui subiamo un infortunio muscolare tutti ci poniamo domande come: Quanto è grave? Che devo fare? Quando riprenderò a fare sport? Potrò tornare come prima?

Gli sportivi amatoriali e gli atleti professionisti vivono quotidianamente una forte pressione mediatica, economica e finanziaria. La sfida per il personale medico e tecnico è offrire e ottimizzare i migliori standard diagnostici, terapeutici e riabilitativi rivolti a minimizzare l’assenza dallo sport e ridurre i tassi di recidiva.

Nel calcio, lo sport più popolare al mondo, la maggior parte degli infortuni muscolari sono localizzati agli arti inferiori (circa il 97%) ed in particolare i gruppi muscolari più colpiti sono i bicipiti femorali (28-37%), i quadricipiti (19-32%), gli adduttori (19-23%) e i polpacci (12-13%).

L’anamnesi, l’esame clinico ed i test funzionali sono i capisaldi per diagnosticare una lesione muscolare, ma spesso risulta indispensabile effettuare un esame di imaging. L’imaging diagnostico risponderà alle domande che ci siamo inizialmente posti, darà informazioni nel rilevare la presenza o l’assenza di una lesione muscolare e la sua gravità e fornirà indizi utili per la prognosi guidando l’approccio terapeutico (chirurgico o fisioterapico), monitorando il successo della terapia, suggerendo cambiamenti in corso d’opera e valutando i rischi di recidiva.

Le lesioni muscolari si suddividono in:

⁜ dirette, quando esiste una forza esterna a generare il danno (contusione o lacerazione);

⁜ indirette, più frequenti, che si verificano durante una contrazione muscolare eccentrica (solitamente in meccanismi di sprinting, stretching o kicking).

Una conoscenza approfondita dell’anatomia e dei meccanismi lesivi, associata all’esperienza personale, consentirà al radiologo dedicato in muscoloscheletrica di produrre un referto ricco di informazioni utile al trattamento degli sportivi a tutti i livelli di partecipazione. Tra gli esperti di sport esiste un’incoerenza nell’uso della terminologia relativa alle lesioni muscolari e, nonostante la frequenza e la rilevanza clinica delle lesioni muscolari, vi è ancora una mancanza di uniformità nella descrizione, diagnosi e classificazione delle lesioni stesse.

I numerosi sistemi di classificazione presenti si basano sulla descrizione del sito della lesione rispetto al distretto anatomico (prossimale, medio, distale), la struttura anatomica coinvolta (tendine, aponeurosi, giunzione miotendinea, fascia, fibre muscolari), le caratteristiche dell’imaging (presenza di edema, rottura delle fibre, ematoma intramuscolare, retrazione del tendine, liquido intermuscolare) e le dimensioni della lesione (area della sezione trasversale e lunghezza cranio caudale dell’edema, area di rottura delle fibre-tendinee).

Il sistema più usato è la classificazione Peetrons e la sua popolarità è probabilmente dovuta alla sua semplicità con 0-3 gradi senza suddivisione anatomica regionale.

Tuttavia, poiché non lascia spazio alla considerazione di rilevanti risultati di imaging (soprattutto il tessuto connettivale interessato), negli ultimi anni sono state riportate altre classificazioni come il Consensus of Munich e la British Atlhetic Muscle Injury Classification (BAMIC).

Nel Consensus of Munich sono classificate lesioni funzionali (senza evidente lesione macroscopica e derivanti da infiammazioni neuromuscolari o sovraccarico) e lesioni strutturali (con evidenza di lesione macroscopica) suddivise quest’ultime in parziali (minori e moderate) e subtotali-totali.

Nella BAMIC, invece, sono classificate in base alla localizzazione anatomica (miofasciale, miotendinea, tendinea) e 0-4 gradi a seconda delle caratteristiche di imaging.

Attualmente le tecniche di imaging più utilizzate sono l’ecografia e la risonanza magnetica anche se sono occasionalmente indicate anche la radiografia e la tomografia computerizzata (es. negli sportivi più giovani nel caso di distacchi e avulsioni apofisarie).

L’ecografia è una metodica veloce, di facile reperibilità e soprattutto dinamica e comparativa. Consente di rilevare le lesioni muscolari e di valutarne la gravità. Non presenta controindicazioni assolute ed è facilmente ripetibile, cosa che la rende superiore negli esami di follow-up. Non espone a radiazioni ionizzanti potenzialmente dannose ma utilizza ultrasuoni con sonde lineari multifrequenza (10-20Mhz). Valuta in real time lo scorrimento di tendini e la contrazione dei muscoli suggerendo la tenuta di un tessuto cicatriziale e la sua “durezza” mediante modulo sonoelastografico. L’utilizzo del modulo color-Doppler aggiunge infine informazione sui processi neoangiogenetici, soprattutto nelle cicatrici e nelle infiammazioni croniche, e permette di valutare complicazioni come le trombosi.

Riconosciuta come operatore dipendente, sarà l’esperienza del radiologo o dell’ecografista a fare la differenza nell’identificare lesioni muscolari (soprattutto quelle di piccole dimensioniche potranno diventare più gravi se non individuate) o nel valutare regioni anatomiche poco accessibili (come le lesioni intra-tendinee e il muscolo soleo).

La risonanza magnetica è una metodica di secondo livello, con costi superiori all’ecografia e non sempre facilmente reperibile. Non utilizza radiazioni ionizzanti ma forti campi magnetici ed impulsi di radiofrequenza. Per una risonanza magnetica efficace si consigliano alti campi magnetici da 1,5 o 3 Tesla, un campo di vista adeguato a coprire la regione d’interesse (inserendo l’inserzione muscolare più vicina alla lesione) e, in casi selezionati, l’utilizzo di marker cutanei. Le scansioni devono essere multiplanari con sezioni di 3-4mm utilizzando sequenze anatomiche (T1 e T2) e sequenze in soppressione del grasso (SPIR o STIR). L’utilizzo del mezzo di contrasto non è consigliato. I tempi di esecuzione sono più lunghi rispetto all’ecografia e, prima di procedere con l’esame, bisogna sottoporsi ad un questionario per escludere controindicazioni relative ed assolute. Fornirà immagini anatomiche dettagliate consentendo di valutare le lesioni muscolari e la loro gravità ed integrerà i dubbi e le zone “oscure” ecografiche.

Anche se riconosciuta come non operatore dipendente, sarà sempre l’esperienza del radiologo, meglio se muscoloscheletrico dedicato, a fare la differenza nell’enfatizzare informazioni che potrebbero essere sottovalutate da un occhio meno allenato.

Concludendo, l’evoluzione tecnologica ha permesso la visualizzazione di strutture anatomiche sempre più piccole generando un incremento delle informazioni. Queste non sono mai il problema, ma il valore aggiunto. Al radiologo spetta veicolarle facendo da collante tra clinico e diagnosi, senza trascurare la comunicazione con lo sportivo. Più precisa e rapida è la diagnosi, più mirato ed efficace è il processo terapeutico.

Questo ridurrà per l’atleta l’assenza dallo sport ed i tassi di recidiva.

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