Opinioni e consigli dal Top Specialist per la Diagnosi e Chirurgia del Ginocchio
Dal 21 al 23 marzo, si è tenuto a Bari l’Annual Meeting S.I.A.G.A.S.C.O.T. 2024. Tra le presenze di eccellenza, il Professor Pier Paolo Mariani, Top Specialist per la Diagnosi e Chirurgia del ginocchio presso la Casa di Cura Villa Stuart, Centro Medico di Eccellenza FIFA e Fims.
La SIAGASGOT (Società Italiana Artroscopia – Ginocchio – Arto Superiore – Sport – Cartilagine – Tecnologie ortopediche) nasce nel 2019 dalla fusione delle società SIA e SIGASCOT. Il Prof. Mariani è Garante dell’attuale società, nonché tra i fondatori del Gruppo italiano di artroscopia (GIA) – in seguito rinominato Società italiana di artroscopia (SIA).
Durante il Congresso a Bari, il Top Specialist è stato intervistato dal copresidente della SIAGASGOT, Massimo Berruto rispetto a temi di grande attualità: dall’uso dell’Internal Brace alle tenodesi associate alla ricostruzione LCA, fino alla lesione della radice anteriore del menisco mediale vista in artroscopia.
Grazie alla sua lunga esperienza, il Prof. Mariani ha quindi fornito una panoramica lucida e precisa sui cambiamenti e i temi caldi che interessano il menisco e il legamento crociato anteriore.
Mariani e il legamento crociato anteriore: caratteristiche e criticità delle moderne tecniche di intervento
Legamento crociato anteriore: una panoramica
Partiamo da uno dei tuoi cavalli di battaglia: il legamento crociato anteriore.
Dove siamo oggi? E cosa non abbiamo ancora capito di questa meravigliosa creatura anatomica?
Siamo andati avanti in molte cose, avanzando nella tecnica. La storia della chirurgia del crociato è una storia che mi piace considerare circolare, dove, nonostante sia andata avanti secondo modalità diverse, torna sempre al punto di partenza. Ecco perché credo che ci stiamo illudendo di esplorare la ricostruzione del crociato anteriore, al punto che la parola stessa che usiamo per descrivere questo tipo di intervento è sbagliata: noi non ricostruiamo, noi sostituiamo l’LCA. E questo è un grosso equivoco che il chirurgo di ginocchio sta provando a risolvere.
Mi ricollego a questa tua ultima considerazione per porti una seconda domanda: nel corso degli ultimi 40 anni sono stati raccontati e descritti tanti e diversi approcci alla ricostruzione del crociato anteriore. Ma qual è la tecnica che nel corso della tua lunghissima carriera hai perfezionato per correggere lesioni a carico dell’LCA?
Io credo che la ricostruzione e tutte le sue evoluzioni mirino a replicare quanto più possibile l’anatomia normale di questo legamento. Tuttavia è un esercizio che si rivela inutile perché non riusciremo a riprodurla perfettamente. Per fare un esempio, tutti noi cerchiamo la soluzione a livello femorale, però a livello tibiale – dove abbiamo ben quattro varianti di inserzione – non potremo mai imitare i rapporti anatomici del legamento. Direi di accontentarci, allora, di sostituire l’LCA nel migliore modo possibile, perché replicare l’anatomia resta una bella quanto impossibile aspirazione da realizzare.
Chirurgia Custom-Made o generalizzata?
Quando parliamo di tecniche chirurgiche, la storia della ricostruzione del legamento crociato anteriore è infinita. Ripensando al tuo percorso, cosa hai conservato e cosa hai cambiato in questi quarant’anni nell’approccio e nel trattamento delle lesioni del legamento crociato anteriore?
Io ho conservato quasi tutto. Basti pensare che il mio approccio iniziale era quello open, per via trans-tibiale, e ancora vi ricorro per il trattamento di pazienti selezionati. Non posso dire, quindi, di aver rinnegato la “vetusta tecnica” della chirurgia aperta. Ma a questa ho aggiunto una maggiore attenzione per lo studio dei dettagli dell’LCA. Direi, infatti, di aver commesso un errore all’inizio della mia carriera, un errore che condivido con molti miei colleghi, ovvero aver considerato il crociato come una struttura anatomica per certi versi isolata nell’articolazione, quando è evidentemente che è solo uno degli attori in gioco.
Questa tua considerazione si collega alla chirurgia Custom-Made, quindi innesti, utilizzare mezzi di fissazione personalizzati, chirurgia periferica associata… a seconda della caratteristiche e delle necessità del paziente, la chirurgia deve essere studiata sul paziente oppure è meglio adottare un’unica metodica ricostruttiva per tutti?
I pazienti non sono tutti uguali, sia anatomicamente sia per quanto riguarda il loro stile di vita. Noi ci dobbiamo adattare necessariamente a questa diversità, volenti o nolenti.
Tenodesi sui soggetti sportivi
Adesso un tema di grande attualità. Cosa ne pensi dell’attenzione rivolta ai legamenti di supporto, quindi alle plastiche o tenodesi che vengono sempre di più associate alla ricostruzione del crociato anteriore?
Io sono d’accordissimo sull’attenzione data alla periferia articolare, ma il problema è un altro: utilizzare la tenodesi anterolaterale su tutti i soggetti sportivi significa non fidarsi della propria chirurgia e richiedere il supporto di una ulteriore procedura chirurgica. Non solo: è sbagliato eseguire questo tipo di tenodesi per trattare tutti i traumi e i bone bruising del ginocchio che vediamo in ambulatorio, perché la localizzazione stessa della lesione non è sempre anterolaterale o da rotazione interna. In altre parole, la correzione con una tenodesi della fascia lata andrà eseguita in presenza di segni radiografici e clinici, ma anche artroscopici, di lesione anterolaterale.
Quando il legamento anterolaterale è strecciato, allungato, disteso, insomma, non consiglio di eseguire una plastica a carico dei legamenti collaterali del ginocchio: le lesioni di primo o secondo grado, in altre parole, non necessitano di questo tipo di intervento.
Internal Brace, un argomento pruriginoso
Un argomento certamente pruriginoso. Così come è pruriginosa e divisiva la discussione sul trattamento delle lesioni acute del terzo prossimale dell’LCA. Qual è la tua opinione in merito alla reinserzione e all’uso dell’Internal Brace?
Le lesioni acute trattabili con la reinserzione sono pochissime, perché la maggior parte delle volte queste tecniche si riservano alle avulsioni complete del legamento – e anche qui i casi sono davvero poco numerosi. Ci sono state occasioni, però, in cui ho eseguito sui pazienti le reinserzioni intrasinoviali, indirizzando piuttosto a un trattamento conservativo.
La vera criticità all’impiego dell’Internal Brace è dovuta al fatto che è una metodica che oggi trova largo impiego non solo nelle riparazioni, su cui posso anche essere parzialmente d’accordo, ma anche nelle ricostruzioni, divenendo una procedura inutile.
A queste considerazioni aggiungo, se si ritorna a studiare la biodinamica articolare, che ogni organo deve essere sottoposto a uno stress fisiologico, che l’Internal Brace rimuove, concorrendo a un certo grado di atrofia sul crociato. Se io permettessi all’Internal Brace di rimuovere lo stress che dovrebbe interessare l’articolazione del ginocchio e le sue strutture, eliminandolo dal crociato, questa struttura andrebbe incontro a una alterazione inevitabile, proprio perché non è più sottoposta a queste forze di trazioni indispensabili.
Return to play negli atleti
Tu sei stato l’italiano che forse ha operato più atleti professionisti e calciatori nella sua carriera, e sei stato anche quello che a un certo punto ha consentito un ritorno in campo del calciatore professionista più precoce rispetto a quello proposto da tanti altri colleghi. Questa tua posizione non è, come sempre accade in un confronto tra pari, pienamente condivisa. Alla luce dell’esperienza maturata, cosa pensi rispetto a questo tema?
Il perché ho adottato questo protocollo è stato fonte di varie conferenze e mi preme ribadire che il mio scopo non è la ricerca del record. Anzi, comincerei proprio con il dire che non esiste un protocollo accelerato. Basti pensare che io non sono l’unico attore a consigliare il giocatore nel post-operatorio: l’atleta ha oggi la fortuna di avere diverse figure riabilitative al seguito, che stabiliscono con le loro modalità i migliori interventi riabilitativi. È evidente che non siamo noi chirurghi a consegnare un protocollo accelerato, quanto è il paziente stesso a seguire le tappe di recupero più velocemente in virtù della vasta expertise che lo accompagna. Lo scopo del chirurgo è permettere al giocatore di mostrarsi nelle migliori condizioni possibili a tre mesi dall’intervento: è, quindi, la squadra a svolgere un ruolo importantissimo in questo percorso.
L’unica cosa che le mie procedure permettono è intervenire sull’inibizione artrogena: io non faccio altro che permettere l’uso del ginocchio dal giorno successivo all’intervento in carico, per esempio facendo calciare una palla di spugna con la gamba sana, in modo che il distretto prenda conoscenza e coscienza dell’attivazione neuromuscolare. Questo importantissimo step è cruciale per ristabilire il corretto funzionamento articolare, da compiere per almeno tutto il primo mese post-intervento: sarà il preparatore atletico a riportare l’atleta a un livello di performance allineato alle aspettative del giocatore e della squadra.
Menisco: il cambio di prospettiva del chirurgo del ginocchio
Salvare il menisco
Secondo cavallo di battaglia: menischi. Salvare il menisco è diventato un must chirurgico, quando fino a non molto tempo fa venivano facilmente sacrificati in occasione di un’operazione all’articolazione del ginocchio. Ritieni che allargare al massimo l’indicazione alla sutura, anche per esempio in caso di lesioni radiali dei menischi – che difficilmente riescono a cicatrizzare – sia comunque un atteggiamento chirurgico da perseguire, oppure ci sono dei limiti di indicazione?
Personalmente, dopo la valutazione del paziente (tipologia del paziente, compliance del paziente), cerco di salvare il menisco –specialmente se le lesioni interessano il menisco laterale, anche a rischio di una recidiva. Sappiamo bene che il menisco laterale non ti perdona davvero nulla, soprattutto in un soggetto giovane e in un soggetto sportivo. Quello che penso è che è sempre opportuno salvare qualunque tipo di lesione che interessa quest’organo, anche se radiali, profonde, sfrangiate.
Lesione della radice posteriore del menisco mediale
Passiamo al problema relativo alle lesioni delle radici meniscali. Sappiamo che è sempre opportuno intervenire in caso di lesione del corno posteriore del menisco laterale associata alla ricostruzione dell’LCA, ma come comportarsi nelle lesioni del corno posteriore del menisco mediale in quei soggetti di mezza età che in seguito alla lesione, al cedimento della radice e alla conseguente estrusione meniscale, vanno incontro a un iniziale deterioramento artrosico?
Ritieni che in questi casi si dovrebbe essere un pochino più aggressivi nel trattare tale lesione e tutte le conseguenze che questa determina, oppure anche qui ci sono delle indicazioni, dei limiti entro cui mantenersi?
Lo dico chiaramente: io tento tutte le strade prima di arrivare a tagliare l’osso, ma nei casi in cui mi trovo un paziente con un’estrusione meniscale, un leggero varismo, un grado Kellgren 2-3, una rottura della radice, non resta altro che impiantare una protesi monocompartimentale.
Vorrei che ci parlassi di qualcosa di totalmente nuovo, che nessuno prima di te era riuscito a vedere in artroscopia: la lesione della radice anteriore del menisco mediale.
Mi sono interessato a questo argomento partendo dalle complicazioni, cioè dai casi dolorosi post-meniscectomia per lesione a manico di secchio che, di fatto, richiede una procedura facilissima, risolvibile in cinque minuti di intervento. Eppure, perché se la lesione è così facilmente correggibile il recupero differisce così tanto a seconda della persona? è evidente, allora, che questi traumi non sono uguali.
Dopo un’attenta analisi, posso dire che occorre dapprima studiare bene il caso clinico: dopo aver corretto la lesione, per esempio, quando la trovo inefficiente metto un’ancora alla radice anteriore del menisco, ottenendo una copertura parziale del piatto tibiale. In questo modo intervengo sull’estrusione anteriore e permetto al paziente di non vivere ulteriore dolore in stazione retta e di sviluppare decadimenti artrosici in minor misura. Il paziente, ottiene così una copertura almeno parziale del menisco e quindi sperimenta una funzionalità migliore del residuo meniscale.
Il futuro della chirurgia artrostopica
Tu sei stato un grande innovatore nella chirurgia di ginocchio. Come vedi il futuro della chirurgia artroscopica di ginocchio nei prossimi anni? Robotizzato, guidato da intelligenza artificiale, da immagini 3D? o ancora pensi che per lungo tempo possa essere guidato dagli sbagli, dalle intuizioni di noi esseri umani?
Nella chirurgia di ginocchio credo che la mano chirurgica abbia ancora molto spazio. Non credo alla chirurgia robotica nella sports medicine, insomma.
Mi chiedi di vedere il futuro? Vedi, Massimo, quando ho iniziato, non avrei creduto possibile essere oggi, in questa sala, presente in maniera olografica e può darsi che tra 10-15 anni voi riuscirete a fare altro, ma non lo chiedere a me, io già ho difficoltà a immaginare cosa farò domani. Non mi sbilancio!
Sappiamo che di recente sei diventato un grande ballerino di tango, quindi per chiudere ti faccio una domanda tra il serio e il faceto: secondo te esistono o ci sono delle affinità fra l’artroscopia e una danza così particolare come il tango?
C’è un’affinità fra artroscopia e tango: il tango è la musica per i tuoi piedi; l’artroscopia è la musica per le tue mani. Le tue mani devono essere musicali, non possono in artroscopia essere violente o impetuose ma devono creare una sinfonia musicale.