Il Dottor Maurilio Bruno, Top Specialist per la Microchirurgia Ricostruttiva e Neuropatologia di interesse ortopedico presso il Centro Medico di Eccellenza FIFA e FIMS, Casa di Cura Villa Stuart di Roma – Top Physio Balduina, approfondisce la malattia di Dupuytren, dedicando particolare attenzione agli approcci terapeutici moderni.
La malattia di Dupuytren è una malattia fibroproliferativa cronica consistente nella progressiva produzione patologica e deposizione di collagene nella fascia palmare e digitale della mano, che può causare contratture a livello delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee, con conseguente flessione permanente e deficit di estensione.
Come è noto, la prima descrizione della malattia fu attribuita al barone Wilhelm Dupuytren, le cui osservazioni su una particolare forma di retrazione permanente delle dita iniziarono nel 1831, quando venne pubblicato il primo articolo sulla Gazette des Hopitaux, degno dell’omonimo nome. La malattia è riconosciuta anche come contrattura di Dupuytren.
Il suo tasso di prevalenza è di circa il 15%, colpisce più uomini che donne e di solito si manifesta tra i 50 e i 70 anni. Inoltre, nel 65% dei casi la retrazione è bilaterale. Ha una familiarità autosomica dominante, con penetranza variabile in base all’età.
In generale, la malattia di Dupuytren è lentamente progressiva: possono essere necessari fino a dieci o più anni prima di raggiungere un livello di gravità tale da richiedere un intervento chirurgico. In alcuni casi, tuttavia, l’evoluzione può svolgersi completamente nel giro di pochi mesi.
Inizialmente si manifesta con un anomalo ispessimento del palmo della mano che, nei casi più avanzati, si estende come un cordone sottocutaneo fino alle dita, solitamente la quarta e la quinta, rendendone sempre più difficoltosa la completa estensione e determinando una forzata chiusura. Questa condizione di “mano chiusa”, con il progressivo peggioramento del quadro clinico, determina l’oggettiva incapacità di svolgere attività manuali comuni, come tenere oggetti, oltre a una significativa disabilità motoria fine. Tale stato ha ripercussioni funzionali e sulla qualità della vita nelle attività quotidiane, comprese le prestazioni lavorative; nel momento in cui il paziente raggiunge l’età pensionabile, contribuisce in modo significativo alla compromissione delle estremità e delle capacità sistemiche.
La struttura specifica della mano colpita dalla malattia di Dupuytren è l’aponeurosi palmare, una membrana sottile ma resistente, costituita da tessuto connettivo e collagene, situata sotto la pelle, che ricopre i muscoli e i tendini sottostanti.
È stato descritto un rimodellamento complessivo del tessuto connettivo, del sistema neurovascolare, dell’innervazione e della componente immunologica, insieme alla considerazione del suo contributo diretto al dolore cronico.
L’eziopatogenesi della malattia di Dupuytren è ancora in gran parte poco chiara, ma è spesso presente una storia familiare.
Inoltre, i fattori di rischio segnalati includono l’uso di farmaci antiepilettici, l’uso eccessivo di alcol, il diabete mellito e l’iperlipidemia.
L’ipotesi di un’associazione patogena tra livelli elevati e prolungati di esposizione professionale come la movimentazione manuale e le vibrazioni è riportata anche nei risultati della ricerca e in alcuni studi con una relazione dose-risposta.
La classificazione più utilizzata nella pratica clinica è la classificazione aggiornata di Tubiana-Michon, che tiene conto della gravità della malattia in base agli angoli di flessione delle articolazioni delle dita, valutati mediante goniometro. Ciò è utile anche per valutare la necessità di un intervento chirurgico e include:
- Stadio 0: soggetto sano
- Stadio I: deficit di estensione delle dita da 0 a 45° Stadio N: noduli senza deficit di estensione delle dita
- Stadio II: deficit di estensione delle dita di 46-90°
- Stadio III: deficit di estensione delle dita di 91-135°
- Stadio IV: deficit di estensione delle dita > 135°
La terapia tradizionale è la fasciotomia, la fasciectomia limitata, la fasciectomia totale e la dermofascectomia; recentemente è stato introdotto l’uso della collagenasi. La fasciotomia con ago percutaneo (PNF) o l’aponeurotomia con ago percutaneo (PNA) è un’opzione di trattamento minimamente invasivo per la malattia di Dupuytren praticata da tempo; consiste nell’interruzione e rottura delle contratture palmari o palmo-digitali attraverso una ripetuta perforazione della punta dell’ago, fino all’estensione del dito.
Negli ultimi anni si è assistito a una progressiva riduzione delle forme più invasive tecniche, con approcci meno invasivi spesso preferibili per ridurre i rischi postoperatori e un recupero funzionale più rapido, considerando anche l’età e le comorbilità.
L’associazione fra le varie tecniche chirurgiche consente nel moderno approccio chirurgico di ridurre significativamente l’impatto sulla struttura cutanea che rappresenta l’organo più esposto all’offesa chirurgica in quanto relativamente meno vascolarizzato che nella cute normale.
L’epidemiologia, l’età, il lavoro e le attività ricreative evidenziano l’importanza di identificare la gravità clinica in relazione alla consulenza e al trattamento del paziente, attraverso un processo decisionale condiviso, con la divulgazione del rischio di recidiva post-trattamento.
Attualmente non esiste un consenso che raccomandi un approccio specifico.
Una revisione del 2018 di Mella et al. Il 2018 ha evidenziato la necessità di una scelta integrata, basata sulla gravità della malattia, sulle preferenze del paziente, sul rischio di complicanze e recidive, sul rapporto costo-efficacia e, cosa non meno importante, sulle capacità e competenze del chirurgo.
La malattia di Dupuytren si manifesta solitamente come un nodulo non dolente sul palmo della mano. Con il tempo il nodulo si trasforma in un cordone fibroso che tende a flettere le dita.
In generale, la malattia di Dupuytren è lentamente progressiva: possono essere necessari fino a dieci o più anni prima di raggiungere un livello di gravità tale da richiedere un intervento chirurgico. In alcuni casi, tuttavia, l’evoluzione può svolgersi completamente nel giro di pochi mesi. Inizialmente si manifesta con un anomalo ispessimento del palmo della mano che, nei casi più avanzati, si estende come un cordone sottocutaneo fino alle dita, solitamente la quarta e la quinta, rendendone sempre più difficoltosa la completa estensione e determinando una forzata chiusura. Questa condizione di “mano chiusa”, con il progressivo peggioramento del quadro clinico, determina l’oggettiva incapacità di svolgere attività manuali comuni, come tenere oggetti, oltre a una significativa disabilità motoria fine. Tale stato ha ripercussioni funzionali e sulla qualità della vita nelle attività quotidiane, comprese le prestazioni lavorative; nel momento in cui il paziente raggiunge l’età pensionabile, contribuisce in modo significativo alla compromissione delle estremità e delle capacità sistemiche.
La pratica per l’indicazione all’intervento chirurgico è la già citata classificazione Tubiana-Michon, che classifica la gravità della malattia in base agli angoli di flessione delle articolazioni delle dita. In questo una PED media di 113° definisce una condizione complessivamente grave, con un elevato livello di compromissione per questi soggetti.
Intervento chirurgico e possibili complicanze
Una revisione della letteratura scientifica incentrata sulle tecniche chirurgiche complessive e sul tasso di complicanze riportate 6 mesi dopo l’intervento chirurgico prevedono:
Le disestesie transitorie, che si sono risolte spontaneamente in un tempo medio di 2 settimane, sono state riportate in 15 ricadute sul benessere psicologico e sulla qualità della vita nel suo complesso. Ciò potrebbe motivare ulteriormente il (0,2%) e in quelli di Foucher (0,05%). Van Rijssen et al. eseguito uno studio prospettico randomizzato studio controllato che confrontava la fasciotomia con ago percutaneo e la fasciectomia aperta limitata in 117 mani. Per gli stadi I e II di Tubiana la fasciotomia percutanea era uguale alla fasciectomia limitata in termini di efficacia, mentre per gli stadi III e IV la fasciectomia limitata è risultata superiore. La fasciectomia limitata è stata, tuttavia, associata a un tasso di complicanze maggiori del 5%, rispetto a nessuna complicanza maggiore nel gruppo della fasciotomia con ago percutaneo, ma l’esito dipende in gran parte dallo stadio di gravità al basale, dall’età all’intervento e dall’approccio preferito dal paziente.
Il tasso di recidiva a 5 anni nel gruppo della fasciotomia con ago è stato dell’84,9%, inversamente proporzionale all’età al momento dell’intervento, rispetto al 20,9% nel gruppo della fasciotomia limitata. Badois et al. hanno riportato uno studio multicentrico che ha coinvolto 799 pazienti e 952 mani, per un totale di 3736 fasciotomie percutanee con ago, con un miglioramento clinico in oltre il 71,2% dei casi allo stadio III e nel 56,6% dei casi allo stadio IV.
Zhou et al. hanno confrontato i risultati a un anno, dopo la ponderazione statistica, di settantotto pazienti sottoposti ad aponeurotomia con ago percutaneo con 103 a fasciectomia limitata, con basso grading Tubiana (88% in stadio I o II); È stato riscontrato che l’aponeurotomia con ago percutaneo è collegata a un tasso di complicanze lievi inferiore. Interessanti sono stati anche i risultati che indicano una maggiore soddisfazione del paziente, migliori prestazioni lavorative e attività quotidiane e la funzione complessiva della mano nel gruppo dell’aponeurotomia con ago percutaneo.
Per quanto riguarda il decorso post-operatorio e il recupero funzionale precoce, nei nostri reparti non sono state osservate complicanze maggiori quali lesioni tendinee o lesioni nervose/vascolari. Sono state infatti segnalate solo limitate complicanze minori (18,7%) che necessitano solitamente di una terapia farmacologica per un massimo di due settimane. Ciò può significare anche una buona tecnica di esecuzione, dove complicazioni minori possono essere ricondotte come un rischio legato alla stessa aggressione chirurgica del sito e quindi potrebbero essere solo mitigati nella durata.
D’altro canto, un approccio meno aggressivo è associato a un tasso di recidiva leggermente più elevato, ma potrebbe essere tranquillamente ripetuto. Sebbene la fasciectomia parziale sia per lo più considerata l’intervento terapeutico preferibile, le linee guida attualmente disponibili e i risultati basati sull’evidenza indicano anche percorsi terapeutici alternativi potenzialmente preziosi, sia chirurgici che farmacologici/non invasivi.
Al fine di pianificare il miglior percorso terapeutico e di effettuare un’adeguata selezione dei pazienti per ciascuna procedura, è essenziale fornire informazioni approfondite e considerare le aspettative del paziente. Il paziente candidato al trattamento chirurgico deve essere informato dei rischi frequenti e rari associati alla procedura chirurgica.
Vale la pena di delineare anche alcune considerazioni medico-legali, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti altamente delicati e sfaccettati della gestione del rischio clinico e della responsabilità degli operatori sanitari.
Innanzitutto, la tempistica del trattamento chirurgico. È bene sottolineare che il trattamento è necessariamente conservativo nella prima fase della malattia e nei pazienti più giovani, mentre l’intervento chirurgico è indicato quando la patologia è di recente insorgenza; anche sintomi come dolore severo e disabilità funzionale complessiva devono essere presi in considerazione per identificare le migliori opzioni di trattamento. Infatti, in caso di trattamento improprio, prematuro e inadempiente, potrebbero essere avanzate denunce per negligenza. In questo caso i medici legali e gli ortopedici chiamati a testimoniare in qualità di periti dovranno sempre stabilire indicazioni esatte e se tutte le misure terapeutiche alternative all’intervento chirurgico siano state soppesate ed eventualmente messe in atto. Il trattamento conservativo associato ad un intervento riabilitativo nelle fasi iniziali della malattia di Dupuytren può infatti avere effetti positivi in termini di miglioramento della funzionalità della mano, ritardando l’intervento chirurgico, facilitando inoltre la preservazione della gestualità ergonomica e propriocettiva. Il trattamento conservativo rappresenta quindi una valida alternativa che andrebbe esplorata fino a quando non sarà più praticabile a causa di dolore insopportabile o grave disabilità. Proprio a causa dei possibili rischi connessi all’intervento chirurgico, ed in particolare ad alcune tipologie di approccio chirurgico per la contrattura di Dupuytren, è fondamentale che i chirurghi ortopedici pianifichino un corretto percorso terapeutico, che deve necessariamente basarsi su un’accurata comunicazione e informazione, il tutto che deve essere documentato come parte del processo di consenso informato. La comunicazione, lungi dall’essere una semplice informazione, è fondamentale per l’alleanza terapeutica e per un buon rapporto medico-paziente e deve passare anche attraverso l’ascolto del paziente, rispondendo alle domande in modo comprensibile, accertandosi che il paziente abbia compreso tali informazioni. e tenere conto delle loro preoccupazioni, priorità e aspettative. Spiegare e discutere le alternative fattibili è una pietra angolare del processo di divulgazione, con documentazione scritta e pianificazione informata finale, poiché i pazienti potrebbero non essere in grado di valutare i rischi in termini astratti e dovrebbero quindi fare affidamento su un quadro di confronto per prendere una decisione veramente informata. Allo stesso tempo, il paziente dovrebbe sempre poter contare su un’esauriente illustrazione delle opzioni alternative, che è l’unico modo per sostenere adeguatamente il diritto personale all’autodeterminazione.
Non meno essenziale è il programma riabilitativo da eseguire dopo l’intervento chirurgico per la contrattura di Dupuytren, attraverso un efficace programma di splintaggio e/o esercizi mirati volti a prevenire potenziali complicanze come disturbi della guarigione della ferita, edema e gestione della cicatrice, e a mantenere la correzione chirurgica e il dito ripristino della flessione. I programmi di riabilitazione dovrebbero essere diretti al ripristino della funzione della mano e al monitoraggio dello sviluppo di complicanze che potrebbero compromettere l’esito e aumentare i tassi di recidiva.
È essenziale a questo proposito delineare un percorso assistenziale individualizzato che soddisfi anche il bisogno di conoscenza del paziente circa la malattia, la prognosi, il trattamento e le opzioni riabilitative. Sarà fondamentale che i medici e le strutture siano in grado di dimostrare in modo documentabile l’adesione alle linee guida e alle migliori pratiche basate sull’evidenza.
Tecniche in uso per il trattamento della malattia di Dupuytren
Approccio limitato focale (fasciotomia selettiva)
Si basa sull’escissione solo della fascia che è gravemente interessata. Anche se la malattia progredisce fino al punto di colpire la fascia palmare clinicamente normale, questo approccio si è dimostrato efficace nel correggere le contratture articolari della MCP e alcune contratture della PIP e comporta un tasso di morbilità accettabilmente basso. Le aree non trattate possono ancora sviluppare la condizione. Di solito, la malattia primaria e quella ricorrente possono trarre beneficio da un tale approccio. Anche se la fascietomia regionale è inefficace nel prevenire la recidiva della malattia, può ottenere la correzione della deformità e portare a un recupero più rapido della funzione della mano.
Cordotomia percutanea
Approccio superselettivo percutaneo con aghi sottili in grado di tagliare il cordone fibroso sottocutaneo. Indicato in forme di Dupuytren caratterizzate da corde fibrose isolate, senza significative compromissioni fibrose cutanee e con cute relativamente elastica. Può essere usata come tecnica isolata o associata a fasciotomia selettiva anche solo per risolvere, rompendo la corda fibrosa ,la flessione del dito ed evitare la necessità di plastiche di allungamento cutaneo col le plastiche a Z o Z-Y. Non sembra associata ad un numero più alto di recidive ma sicuramente impatta positivamente sul tasso di aggressione chirurgica cutanea.
Approccio ampio o fasciotomia radicale
La procedura prevede l’escissione dell’intera fascia palmare, compreso il tessuto che appare complessivamente sano, al fine di prevenire recidive. Questo approccio chirurgico, oggi piuttosto raro, comporta un rischio di morbilità postoperatoria più elevato (è stato riportato ematoma nel 14% dei casi, irritazione o danno ai nervi nel 6%). Un vantaggio è il tasso di recidiva relativamente basso, segnalato intorno all’11%. I pazienti sono anche esposti a un rischio maggiore di edema e rigidità postoperatori prolungati.
Dermofasciotomia
La procedura si basa sulla rimozione della fascia malata insieme alla pelle sovrastante. Un innesto cutaneo a tutto spessore viene applicato dopo la ricostruzione della superficie della ferita. Sono necessarie due incisioni (una dall’articolazione interfalangea distale del dito interessato alla piega di flessione palmare distale e un’incisione palmare trasversale, per formare una forma a L). Viene quindi effettuata una fasciectomia selettiva, mirata a chiudere parzialmente il sito dell’incisione. L’intervento chirurgico richiede un innesto cutaneo a tutto spessore. Una parte del palmo viene lasciata aperta e viene applicata una stecca di estensione per ca una settimana. La procedura, di natura piuttosto radicale, è solitamente un’opzione solo per malattie ricorrenti o gravi. I tassi di recidiva sono bassi, essendo simili a quelli della fasciectomia estesa. Tra gli aspetti negativi degni di nota: recupero prolungato, fallimento dell’innesto cutaneo, cicatrici nel sito donatore, un tasso di complicanze più elevato e scarsa corrispondenza tra colore e struttura della pelle.
Iniezioni di collagenasi
L’iniezione in una corda di Dupuytren (costituita principalmente da collagene) può provocare un’interruzione enzimatica. Tale opzione si presta ai casi che coinvolgono la contrattura di Dupuytren con corda palpabile. La miscela di due collagenasi scinde il collagene di tipo I e di tipo III nelle corde in modo sinergico, mentre non influenza le strutture neurovascolari. L’iniezione di CCH ha un notevole grado di sicurezza e, secondo quanto riferito, è associata solo a rare complicazioni gravi, e funziona particolarmente bene sulle contratture MCPJ che colpiscono l’articolazione metacarpo-falangea (MCPJ) o sulle manifestazioni di bassa gravità. Sebbene ritenuta sicura e minimamente invasiva, l’efficacia a lungo termine è inferiore rispetto alla fasciectomia parziale.
La collagenasi Clostridium histolyticum (CCH) è stata approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento della contrattura di Dupuytren a singola corda con un ciclo di trattamento di 30 giorni; la dose raccomandata era 0,58 mg per iniezione. Una revisione sistematica del 2022 che contava 3753 articolazioni in 2675 pazienti ha tratto le seguenti conclusioni: la riduzione iniziale della contrattura ha avuto più successo con le articolazioni metacarpofalangee (MCP) che con le articolazioni interfalangee prossimali (PIP) (rispettivamente 77% vs 36%).
È stato riportato un tasso di recidiva del 23% nelle articolazioni trattate con successo, principalmente da 12 a 24 mesi e, a volte, già a 6 mesi. Per quanto riguarda gli effetti avversi correlati al trattamento, il 94% dei pazienti ne ha riportati uno o più, sebbene la maggior parte di tali effetti fossero piuttosto minori e si risolvessero spontaneamente (ad es. edema periferico, dolore alle estremità, contusione); Il tasso di complicanze chirurgiche maggiori è stato dell’1%, come lesioni tendinee.
Corticosteroidi
Questi agenti hanno proprietà antinfiammatorie e causano effetti metabolici profondi e vari. Modificano la risposta immunitaria del corpo a diversi stimoli. Il triamcinolone è utilizzato nel trattamento della dermatosi infiammatoria sensibile agli steroidi. È stato riportato un tasso di recidiva del 23% nelle articolazioni trattate con successo, principalmente da 12 a 24 mesi e, a volte, già a 6 mesi. Per quanto riguarda gli effetti avversi correlati al trattamento, il 94% dei pazienti ne ha riportati uno o più, sebbene la maggior parte di tali effetti fossero piuttosto minori e si risolvessero spontaneamente (ad es. edema periferico, dolore alle estremità, ecchimosi); Il tasso di complicanze chirurgiche maggiori è stato dell’1%, come lesioni dirette dei tendini flessori. I corticosteroidi possono calmare l’infiammazione attraverso la soppressione della migrazione dei leucociti polimorfonucleati e la reversione della permeabilità capillare e riducono l’infiammazione.
L’iniezione di steroidi può provocare una regressione dei noduli e dei cordoni legati al Dupuytren in stadio iniziale. Le prove di efficacia sono ancora inconcludenti, a causa della mancanza di gruppi di controllo e di studi randomizzati in doppio cieco.
Fattore di necrosi antitumorale (anti tnf)
Uno studio randomizzato e controllato di fase 2 in corso ha dimostrato come l’iniezione di un agente anti-TNF, adalimumab, direttamente nei noduli può portare alla down regulation del fenotipo dei miofibroblasti, come evidenziato dalla riduzione dell’espressione di SMA e proteine procollagene di tipo I a 2 settimane, rispetto al controllo salino al follow up a 2 settimane. Sebbene non siano ancora conclusivi, tali risultati sembrano potenzialmente aprire la strada a una risposta terapeutica biologica al Dupuytren.
Secondo quanto riferito, le iniezioni intranodulari di 40 mg di adalimumab in 0,4 ml sono efficaci nel ridurre la durezza e le dimensioni dei noduli
Radioterapia
La radioterapia a basso dosaggio può arrestare la progressione della malattia attraverso l’inibizione dei miofibroblasti. Sebbene le esatte dinamiche d’azione non siano ancora chiare, si ritiene che la radioterapia impedisca ai fibroblasti e ai miofibroblasti di svilupparsi e crescere.
I risultati della ricerca sull’efficacia della radioterapia nel m. di Dupuytren sono ancora in gran parte inconcludenti, poiché mancano studi che confrontino la radioterapia con approcci non invasivi o altri trattamenti non chirurgici. Tale tecnica, tuttavia, è promettente per la prevenzione di ulteriori progressioni e sintomi, mentre non può correggere le contratture esistenti.
Campo elettromagnetico ad alta energia associato ad onde d’urto focalizzate (eswt)
Sebbene tale approccio sia ancora poco studiato e di natura sperimentale, uno studio recente ha ipotizzato che l’ESWT possa influenzare la segnalazione del TGF-ÿ, la propagazione delle cellule staminali, la stimolazione del fattore di crescita o la modulazione delle vie del dolore tramite COX2, sostanza P o peptide correlato al gene della calcitonina (CRGP) . È stato riportato un notevole grado di riduzione del dolore (p < 0,05) nel gruppo ESWT sulla base della scala analogica visiva, ma lo studio non è riuscito a mostrare un miglioramento statisticamente significativo dei parametri di esito secondario come punteggi di esito correlati al paziente (valutati mediante Michigan Hand Questionnaire , DASH o URAM). Lo studio si è basato su uno studio randomizzato in cieco che ha seguito per 18 mesi un gruppo ESWT (n = 27) rispetto a un gruppo placebo (n = 25), tutti pazienti con noduli di Dupuytren dolorosi.
L’ESWT si basa su onde acustiche caratterizzate da cambiamenti di pressione acuti, improvvisi e rapidi come un fronte d’onda più veloce della velocità del suono, seguito da una coda negativa più lunga per innescare una risposta del corpo. Tale tecnica è stata descritta per la prima volta in uno studio del 1980 che mostrava il successo della risoluzione dei calcoli renali mediante ESWT elettroidraulico focalizzato
Numerosi studi su vari tessuti evidenziano gli effetti benefici dell’ESWT. Ad esempio, nella malattia plantare di Ledderhose della pianta del piede, che è abbastanza simile allo stadio nodulare della malattia di Dupuytren della mano dal punto di vista clinico e istologico, il dolore derivato dai noduli può essere considerevolmente alleviato dall’ESWT focalizzato ad alta energia, generato elettromagneticamente.