SALUTE E ALIMENTAZIONE
Sempre alla ricerca dell’alimento più salutare da incorporare nella nostra dieta, c’è chi abbandona il fiocco di burro con cui arricchire l’impasto della ciambella da colazione in favore dell’olio evo. Spesso si dà seguito al comune sentito dire senza aver nozione del perché lo si faccia. Chiariamo alcuni dei fondamenti su cui si basa questa (errata) scelta.
Mediante processi estrattivi e di raffinazione, una quantità di alimenti quasi sorprendente è da sempre fonte di grassi ad uso alimentare, dal comune olio di oliva magari extravergine, agli oli di semi di girasole, di mais, di vinaccioli e di arachidi, dagli esotici olio di avocado e di noci di macadamia all’olio di colza, per indicare solo alcune fonti vegetali.
Nella comune accezione, distinguiamo quelle miscele di grassi che a temperatura ambiente sono solide (margarina, burro, strutto o sego), dette per l’appunto grassi, da quelle che a temperatura ambiente sono liquide (di derivazione per lo più vegetale, ma non solo: chi ricorda l’olio di fegato di merluzzo?), chiamate olii. Tutti, oli e grassi, contengono, in percentuali diverse, gli stessi acidi grassi organizzati nei trigliceridi, come forma di immagazzinamento di energia prodotta e dagli organismi animali e da quelli vegetali. È la percentuale relativa di acidi grassi saturi ed insaturi che compongono i trigliceridi ad essere responsabile delle caratteristiche dello stato di aggregazione di una miscela di grassi: gli acidi grassi saturi hanno la capacità di impacchettarsi più strettamente e quindi li si ritrova in strutture termodinamicamente più stabili (solide o semisolide); invece gli acidi grassi insaturi hanno un ingombro maggiore e soprattutto si ritrovano organizzati in modo termodinamicamente più fluido, dimostrando un punto di fusione più basso e quindi apparendo liquidi a temperatura ambiente.
Si capisce come, almeno per alcune applicazioni tecnologiche e gastronomiche, ci siano ingredienti in gran parte sostituibili l’uno con l’altro, e che quindi il burro di cacao (62% di grassi saturi) possa essere un sostituto del burro (66%), molto più che l’olio di oliva (15%). Se poi si aggiunge il fatto che, oltre ad abbassare i costi produttivi da parte delle aziende coinvolte nel settore dolciario (ma non solo in quello dolciario! Se leggiamo l’etichetta con attenzione, ci rendiamo conto che un quantitativo grassoso è aggiunto spesso e volentieri a molti alimenti, soprattutto quelli fortemente trasformati rispetto alla materia prima di partenza, precotti e pronti al consumo), si cercano delle alternative che vadano incontro alla smodata voglia del consumatore di trovare opzioni anche più sostenibili: il caso dell’olio di palma (52%) ha fatto scuola.
Usato fin non molto tempo addietro in moltissime preparazioni di pasticceria per la sua composizione prevalentemente satura, consente di ricoprire i granuli di amido della farina, non irrancidisce velocemente e permette una miglior conservazione del prodotto da forno, financo arrotondare il gusto ampliando la volta palatale. Se poi si tiene conto del fatto che i trigliceridi non hanno di per sé alcun sapore, che invece è riservato a quelle sostanze liposolubili che consentono di godere di tutte quelle sfaccettature complesse ed insondabili del gusto, ecco qui che un grasso può facilmente sostituirne uno con composizione simile senza troppo alterare le caratteristiche del prodotto finito: ecco perché l’olio di palma, di certo a miglior mercato, ha sostituito il burro nelle preparazioni commerciali.
Possiamo distinguere gli oli a seconda della loro origine; quelli provenienti da seme (sesamo o soia) sono meno facilmente deperibili; invece, gli oli provenienti da frutto (oliva o palma) si degradano molto velocemente perché la materia prima contiene un quantitativo di acqua importante, da qui la necessità di estrazione vicino al punto di raccolta per preservarne quanto più possibile le caratteristiche nutrizionali. Le olive o i frutti della palma da olio, difatti, si deteriorano in fretta dopo la raccolta e andrebbero lavorati entro brevissimo tempo, idealmente anche solo 24 ore; il non corretto e tempestivo trattamento di questi, determina la degradazione dei grassi e conseguente diminuzione della qualità nutrizionale del prodotto.
Gli oli provenienti da seme possono essere ottenuti da procedimenti meccanici, come quelli provenienti da frutto; i semi che, grossomodo, contengono un quantitativo di grassi minore del 30%, però, possono avere una resa troppo bassa e non conveniente ai fini produttivi. Per questi si utilizza un procedimento di estrazione mediante solventi organici, come l’esano, il quale consente alla materia prima di essere utilizzata in un secondo momento come alimento umano o mangime animale, specie nel caso della soia. Più spesso, ad una iniziale spremitura meccanica si associa una estrazione mediante solvente, dopo la quale le due miscele sono mescolate ed inviate alla raffinazione.
Ovviamente, sia l’olio che i prodotti esausti da estrazione non devono contenere residui di esano o altro solvente.
Ancora convinti che sia meglio un olio rispetto al burro? Vediamo di non confondere la ricerca di un prodotto eticamente e salutisticamente corretto rispetto un alimento tradizionale, con un’afinalistica moda di passaggio (lo sapete che il burro è un’emulsione di acqua in grasso, mentre l’olio è composto per la sua totalità da grassi? Un altro modo per dirlo: il burro è meno calorico dell’olio!). E per chi vuol sperimentare in cucina? Suggerisco un’occhiata qui di seguito.
Mila Bonomi
Tab. Bressanini, D., La scienza della carne – Contenuto medio di acidi grassi per alcuni olii e grassi alimentari, 2016, III edizione pag 149.